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La patria di Celestino V

di Michele Venditti

Celestino V      Mentre la città dell'Aquila nel giorno dell'anniversario del martirio di S.Giovanni Battista, il 29 agosto di ogni anno, promuove solenni festeggiamenti per commemorare l'elezione a sommo pontefice "del molisano eremita Pietro del Morrone" e l'istituzione della Bolla della Perdonanza a favore di questa sua amata città, nel Molise, invece, rimane in piedi la gara fra paesi che si contendono gli onori di avergli dato i natali. La gara più appassionata si svolge, com'è noto, tra il «castello» di S.Angelo Limosano e il «castello» di S.Angelo in moenia od extra moenia (entro o fuori le mura) di Isernia, tirando, ognuno dalla propria parte, i lembi di una coperta ormai striminzita per le scarse, frammentarie, sparpagliate notizie che si hanno sull'argomento. Nella nota introduttiva al libro «I castelli di Pietro - tutte le verità sulle origini di Celestino V» (Macchia d'Isernia, ottobre 1996), l'autore, Antonio Grano, dice bene quando afferma che ancora oggi - e sono trascorsi quasi 800 anni da quel lieto evento - è possibile, anche se difficile, individuare con esattezza il luogo in cui nacque Pietro del Morrone. L'informazione vera, egli aggiunge, quella giusta è ancora riposta in quel coacervo di notizie pervenuteci dal secolo XIII ad oggi.
    Bisogna, però, distinguere fra le testimonianze addotte dai coevi, dai testimoni oculari e quelle postume, così come fece Giuseppe Celidonio un secolo fa, prima di mettere mano a quella grande opera critica sul santo di Sulmona: «S. Pietro del Morrone - Celestino V.» (Sulmona, 1896).
    Le scarse, frammentarie e sparpagliate notizie pervenuteci dai testimoni coevi sull'argomento «patria» di Pietro Angeleri, se non inserite in un contesto storico, che le unisce, le comprende e le fa proprie, non portano da nessuna parte. «Come un mosaico, con le sue tessere multicolori, che da sole sono soltanto frammenti, mentre, sapientemente unite e ordinate, assumono forme, immagini, vita, il mosaico, appunto». Da parte mia, lungi dall'idea di voler incrementare le polemiche, mi limito ad esaminare ed inquadrare nel suo contesto geo-politicostorico quel passo dell'autobiografia dove Pietro d'Angeleri, unico testimone di se stesso, e con l'umiltà che gli è propria, parlando di sé in terza persona singolare, ha chiamato patria sua «un luogo» da cui egli, con il socio, è partito per Castel Di Sangro: «Di 20 anni uscì dalla sua patria e col socio avviossi in Castel di Sangro..., ove giunse all'incirca l'ora nona del giorno seguente».
    Correva l'anno pressocché 1230 ed era un giorno della stagione invernale quando i due soci uscirono dal convento benedettino di Santa Maria in Fayfulis che si trovava, così come si trova ora, in agro di Montagano nel contado di Molise, allorché il novizio Pietro d'Angeleri, futuro papa Celestino V, chiamò patria sua quel «ceno» luogo.
    A Faifoli fra Pietro del Morrone ci tornò dopo 45 anni circa nella veste di Abate di quel convento, dove sostenne una causa civile contro il feudatario del luogo, il ghibellino Simone de Sancto Angelo per il possesso di due casali con i rispettivi poderi. Questa lite, che si protrasse per sei anni è riportata nei registri della cancelleria Angioina ed è raccontata pure dai discepoli contemporanei, suoi biografi, nelle loro memorie scritte sulla «Vita» del Maestro. Questi, inoltre, attestano che Pietro d'Angeleri aveva indossato, per primo, l'abito della santa religione proprio nel convento di Santa Maria in Faifoli che era nella provincia in cui egli stesso era oriundo: «... quod erat in provincia unde ipse existerat oriundus».

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